Cari ragazzi,
questa sera, per questa buonanotte un po’ speciale per me, volevo raccontarvi una storia.
C’era una volta un paese, non troppo lontano, in cui le persone dovevano restare in casa a causa di una brutta malattia, un po’ sconosciuta, che aveva causato e continuava a causare tanta sofferenza, tanto dolore, tanta morte e tanta tanta solitudine e tristezza.
I bambini non potevano più andare a scuola, uscire, giocare con gli amici, andare a fare attività scout, agli allenamenti di basket e di calcio, a trovare i nonni, in oratorio, andare a messa…
Insomma non potevano fare proprio più nulla se non stare in casa con i loro genitori.
Anche le persone grandi non stavano meglio, chiuse tra le quattro mura delle loro case, avevano paura per sé e per gli altri, erano arrabbiate e sempre più sconsolate.
…Sembrava che proprio non si trovasse soluzione e che da questa brutta esperienza non si potesse uscire più … La speranza sembrava essere svanita …
I giorni passavano e il passatempo preferito era guardare i telegiornali in cerca di buone notizie, fissare le strade completamente vuote del proprio paese, ascoltare magari le ambulanze passare e aspettare che arrivassero giorni migliori.
Ci si lamentava sempre, del silenzio, delle difficoltà di fare la spesa, della noia …
Ci si lamentava un po’ di tutto e troppo, pensando sempre più spesso di essere soli (magari, se si era fortunati, con la propria famiglia … o magari no), ma come ibernati, isolati, staccati dal nostro mondo e dalla nostra vita che sembrava esserci stata rubata.
Una grigia domenica di aprile, però, nel paese successe qualcosa. In una anonima e piccola via dietro la stazione si sentì un trambusto strano, una macchina con un megafono diceva qualcosa di anomalo, rompeva il silenzio.
Tutti accorsero alle finestre e videro due piccoli uomini in mezzo alla via, attorniati da altri cinque. Tutti, naturalmente, avevano mascherine, guanti, ma non parlavano di numeri di contagi e morti, di terapia intensiva e medicinali.
Erano i volontari della protezione civile, il sindaco e il parroco che da un mese giravano per le vie del paese per tenere compagnia alle famiglie, per far sentire loro che la comunità non era sparita, che chi si occupava del paese (spiritualmente e politicamente) c’era e si faceva sentire attraverso qualche parola e un po’ di musica.
Parlò il parroco, parlò il sindaco …
Parlarono del nostro stare insieme, del nostro condividere nonostante fossimo distanti, del nostro essere un “noi” seppur chiusi in case diverse, in paesi diversi, in nazioni diverse.
Tutti sui balconi e dalle finestre si ricordarono di far parte di una comunità, di un paese, di condividere le stesse difficoltà, di esserci ancora e di poter pensare di tornare ad una vita quasi normale … prima o poi…
Poi l’inno di Italia e altra musica risuonarono, mentre il parroco e il sindaco passavano sotto i balconi e salutavano, chiedevano notizie, si avvicinavano ai cancelli per stare il più vicino possibile, richiamando tutti alla responsabilità del bene proprio e degli altri, ma soprattutto alla speranza del domani.
C’era chi piangeva, chi rideva, chi salutava, chi cantava … chi – insomma – si era svegliato da un sonno triste e malinconico per ricordarsi che là fuori c’era una vita che li aspettava, nel grigiore di quel pomeriggio di aprile si apriva la speranza di un arcobaleno.
Il “paese risvegliato” è il mio paese, Locate Triulzi, non lontano da San Donato Milanese…
Buonanotte,
la prof.ssa Zambarbieri
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